Il Velivolo del Record Macchi MC 72
PREMESSA
Descrivere un velivolo distinguendolo dal suo propulsore è un’impresa ardua essendo due anime della stessa macchina, a maggior ragione parlando del Macchi Castoldi M.C. 72, che si può immaginare come un motore con le ali. Ciò nonostante, proveremo a percorrere la sua storia e a descrivere le soluzioni tecnologiche e costruttive che lo caratterizzano, frutto della genialità e dell’ingegno degli uomini e dell’industria dell’epoca.
Useremo il tempo presente perché esso è ancora vivo (MM181), anche se a riposo, essendo gelosamente custodito al Museo dell’Aeronautica di Vigna di Valle sul lago di Bracciano (MUSAM), insieme ai fratelli maggiori che lo hanno preceduto, e che ne hanno anticipato le gesta, il Fiat C.29, i Macchi M.39 e M.67.
ORIGINI DEL PROGETTO
Gli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale sono stati a lungo considerati “l’età dell’oro dell’aviazione” a causa del rapido progresso tecnologico costruito sulle basi gettate in tempo di guerra. In Italia questo periodo coincise con un’eccezionale crescita dell’aviazione, in particolare nella seconda metà degli anni Venti. Ciò fu merito anche della guida di Italo Balbo, nominato Segretario di Stato per l’Aviazione il 26 novembre 1926 che riuscì a promuovere e dimostrare l’alto livello delle conquiste aeronautiche italiane.
Un livello altissimo, come dimostrato dalla prepotente vittoria conquistata dall’Italia alla Coppa Schneider del 1926 (disputatasi a Norfolk, Inghilterra), quando Mario De Bernardi raggiunse i 396 Km/h (il record precedente di Doolittle era di 374 km/h) a bordo del suo bellissimo Macchi M.39, uno degli apparecchi più eleganti che abbiano mai volato.
Capitano Mario De Bernardi
L’Italia prese questa competizione molto sul serio: il regime vedeva infatti nella partecipazione alle competizioni internazionali un’importantissima vetrina con la quale mettere in mostra il livello tecnologico dei suoi mezzi e il coraggio e la preparazione dei suoi piloti.
Dopo la sconfitta dell’Italia, nella sfortunata gara del 1927 a Venezia, vinta dagli Inglesi, affiora l’idea, di formare un centro per la preparazione dei piloti da impiegare nell’alta velocità.
Nasce, nel 1928, il Reparto Alta Velocità (R.A.V.), dalla volontà dell’allora Sottosegretario dell’Aeronautica, Italo Balbo e del ten. col. Mario Bernasconi.
Italo Balbo Ten.Colonnello Mario Bernasconi La squadra del R.A.V.
Le edizioni finali di questa prestigiosa gara divennero un “affaire” a due fra gli inglesi e gli italiani. Da questo dualismo nasceranno gli anni più ruggenti, drammatici e affascinanti della Coppa Schneider, ma vennero anche gettate la basi per gli aeroplani che avrebbero poi combattuto la seconda guerra mondiale. A partire dal 1927 infatti, tutti gli aerei partecipanti alla Coppa Schneider erano monoplani con motori in linea raffreddati a liquido.
La rivincita italiana sarebbe dovuta arrivare nel 1929 a Calshot: l’idrocorsa scelto per partecipare fu l’aggressivo Macchi M.67. Affascinante come pochi, l’M.67 tuttavia soffrì una scelta discutibile, nonostante le ottime prestazioni dei motori Fiat, venne dotato di un inedito motore a 18 cilindri a W prodotto dalla Isotta Fraschini (un Asso 2-800), unità dal peso ridottissimo, dalla potenza specifica notevole e dalla vita operativa ridotta ad appena due o tre ore di funzionamento. Un vero motore da corsa dal temperamento incontrollabile.
Isotta Fraschi Asso.2-800
Troppo tardi per venir collaudati correttamente, gli M.67 vennero portati a Calshot più per atto di presenza che per altro: sicuri in partenza di perdere e così fu. La Coppa Schneider del 1929 andò al Tenente Waghorn su Supermarine S.6, capace di volare fino a 529 km/h.
L’Inghilterra, cominciava a far vedere al mondo quello che avrebbe poi fatto durante la Seconda Guerra Mondiale con lo strepitoso Supermarine Spitfire (progettato da Reginald Mitchell, lo stesso che progettava gli idrocorsa inglesi) e il Rolls Royce Merlin, evoluzione del Roll Royce R utilizzato nelle gare di velocità.
La preparazione della rivincita italiana cominciava nel 1930. Altissima la posta in gioco: cercare di battere gli inglesi, rimettendo così in gara il blasonato trofeo, e riportare a casa il primato mondiale di velocità, da sempre legato alla manifestazione. Se gli inglesi avessero vinto la competizione nel 1931, il Concorso Schneider sarebbe finito e la Gran Bretagna avrebbe mantenuto il possesso permanente del Trofeo.
Dopo Calshot, il personale del Reparto Alta Velocità e i progettisti, si rimisero in opera in vista della gara del 1931, con tutte le intenzioni di battere gli inglesi e riprendersi la Coppa Schneider. Gli eventi che seguirono tuttavia trasformarono la Coppa Schneider in una appassionante e drammatica competizione.
Gli inglesi, avevano aerei e motori vincenti, c’era solo da proseguire su quella buona strada. Gli italiani avrebbero dovuto, invece, creare un “fulmine”: una magia rossa dalle linee indimenticabili, il Macchi M.C.72, aereo di una bellezza unica spinto da uno dei motori più leggendari che siano mai stati accesi, il Fiat A.S.6, il motore a pistoni più potente mai costruito in Italia.
IL PROGETTO
Per riuscire infatti a battere gli inglesi, era chiaro che il motore dell’M.C.72 dovesse essere qualcosa di davvero eccezionale: il contratto con la Fiat esigeva un motore con una potenza di 2.300 CV, aumentabile in tempi brevi a 2 800 CV, un peso non superiore agli 840 kg ed un consumo massimo di 250 g/cv/h.
Il geniale e impressionante motore che ne scaturì era il FIAT AS.6 (versione 1934) che aveva una potenza di 3.100 CV, e un peso di 930 Kg.
La Macchi Aeronautica SpA fu scelta per sviluppare la cellula di un nuovo velivolo.
La soluzione motoristica che permetteva di avere uno pseudo bimotore con l’ingombro frontale di un monomotore, permise alla penna geniale del progettista Ing. Mario Castoldi, di sviluppare il disegno di un bellissimo e agile idrovolante, con linee eleganti, raffinate e pulite, bassa resistenza aerodinamica e peso ridotto.
L’unico obiettivo era “la velocità”.
In effetti i requisiti progettuali richiesti erano stringenti ma non elaborati, si trattava di creare un velivolo che dovesse percorrere una determinata traiettoria, composta da un serie di voli rettilinei e delle virate, le più strette possibili, alla massima velocità possibile, comunque più alta dell’ultimo record stabilito nel 1929 dagli inglesi (529 Km/h). Non erano quindi richieste particolari specifiche di affidabilità, sicurezza, quota e manovrabilità. Si trattava comunque di un idrovolante per cui le caratteristiche di flottaggio in decollo e ammaraggio costituivano comunque un problema di estrema complessità per ottenere un comportamento in acqua gestibile dal pilota.
L’architettura generale, era ormai definita sia dalle esperienze precedenti sia dall’esame dei velivoli concorrenti, si trattava quindi, in definitiva, di applicare la massima potenza che fosse possibile estrarre dal propulsore utilizzato, mantenendo la minima resistenza aerodinamica sia della cellula vera e propria sia dai galleggianti di cui sarebbe stato dotato.
Il Fiat A.S.6 che avrebbe propulso l’aereo, con la sua straordinaria potenza, (3.100 CV) comportava non pochi problemi strutturali, superati brillantemente, rendendo il castello motore l’elemento sul quale far confluire tutti i carichi del velivolo, (motore, ali, sezione di coda abitacolo e impennaggi, supporti dei galleggianti con relativi serbatoi del carburante) con le relative sollecitazioni.
Il motore poi, per le sue stesse caratteristiche, richiedeva un sistema di raffreddamento estremamente sofisticato dovendo evidentemente prescindere da qualsiasi radiatore che avrebbe comportato un aumento della sezione frontale e relativa resistenza aerodinamica.
Non ultimo, scaricare efficacemente una potenza così eccezionale sull’elica propulsiva, era un altro dei problemi da affrontare.Una sfida mai sperimentata sarebbe stata quella delle solleciatazioni dovute alti “G” che si sarebbero verificate nelle virate a velocità così alte mai raggiunte finora.
L’M.C. 72 era una fusione di tutte le tecnologie più recenti e, come tale, cavalcava il confine di ciò che era allora possibile. Per quanto potente fosse, era necessario un delicato equilibrio per far funzionare tutto in modo affidabile, per un tempo minimo ma congruo con la competizione.
( il Rolls Royce “R” del Supermarine S6 B, diretto concorrente, poteva sviluppare la massima potenza di 1.900 CV, per il tempo massimo di un’ora)
Rolls Royce “R” 1900 CV Installazione
LA REALIZZAZIONE
L’ing. Mario Castoldi si trovò, dunque a disegnare un aeroplano attorno al suo motore, che per le sue prestazioni imponeva soluzioni avvenieristiche e originali oltre che estreme per l’epoca.
Era dunque un aereo monoposto, monomotore (sic) in linea con raffreddamento a liquido, ad ala bassa a due galleggianti.
Ing. Mario Castoldi Ing. Tranquillo Zerbi
Macchi Aeronautica S.p.A. Fiat Motori Aviazione
Progettista dell’ M.C. 72 Progettista del motore AS.6
LA FUSOLIERA
La struttura è costituita essenzialmente dal castello motore che anteriormente diventa l’elemento di forza dell’intero velivolo e della fusoliera stessa, completata dalla parte posteriore includente l’abitacolo e la coda.
La parte anteriore e centrale la fusoliera era in metallo così come il suo rivestimento, mentre la coda era realizzata in legno.
Il castello motore è costituito da una serie di tubi metallici a traliccio che definisce, col suo rivestimento metallico, la massima area frontale di tutta la fusoliera.
Su di esso convergono, la sezione posteriore di costruzione lignea inclusi gli impennaggi, le due semiali, le gambe di forza degli “scarponi”, la tiranteria di irrigidimento e controventatura delle ali e dei galleggianti stessi.
Il motore, montato su barre di sostegno correnti su tutto il suo sviluppo di 3,35 mt. che costituiva quasi la metà della lunghezza dell’intera fusoliera. La visibilità anteriore e laterale del pilota è minima e l’angusta cabina di pilotaggio è dotata dei solo strumenti essenziali.
LE SEMIALI
L’ala è costituita da due semiali bilongherone a sbalzo e senza diedro che sono controventate sull’estradosso e nell’intradosso con cavi d’acciaio collegati alla fusoliera e ai galleggianti a completare la struttura meccanica portante del velivolo.
L’angolo di calettamento è praticamente 0°, dato che l’assetto dell’aereo in flottaggio consentiva un’incidenza tale da permettere il decollo a una velocità accettabile.
Di costruzione completamente metallica in duralluminio, (lega di alluminio e principalmente di un 5% di rame), presentava un profilo simmetrico di basso (8% c.a.) spessore, quasi completamente rivestita dal complesso dei tubi radiatori del raffreddamento dell’acqua in ottone, orientati lungo la corda e di basso spessore, che non modificavano il profilo in modo significativo.
GLI IMPENNAGGI
Gli impennaggi sono del tipo classico cruciforme con struttura lignea e un’estensione della deriva sotto la linea di costruzione, per migliorare la stabilità alle alte velocità e in flottaggio essendo investita dall’acqua.
I comandi prevedono un dispositivo di limitazione della corsa, per consentire il loro movimento manuale anche alle alte velocità. Le superfici mobili di controllo sono a struttura metallica e rivestite in tessuto.
I GALLEGGIANTI
I due scafi dei galleggianti hanno la struttura in legno con rivestimento metallico nella parte superiore.
Essi contengono due serbatoi di carburante uguali da 1.000 lt., sono collegati al castello motore da 4 montanti metallici profilati contenenti le tubazioni di alimentazione del motore e del liquido di raffreddamento oltre che dell’olio lubrificante.
Sono uniti fra loro da due barre trasversali e due longitudinali interne di irrigidimento mentre le controventature in cavi d’acciaio ad alta resistenza ne garantiscono la solidità strutturale.
Le gambe di forza sono in legno e duralluminio e la loro superficie anteriore è quasi completamente coperta dai radiatori per l’olio e per il liquido di raffreddamento.
ALTRE CARATTERISTICHE SALIENTI
IL RAFFREDDAMENTO
La caratteristica più appariscente dell’M.C. 72 sono senza dubbio i radiatori di raffreddamento del motore e dell’olio.
Il raffreddamento di un motore di 50 lt. di cilindrata era un problema di estrema importanza e di non facile soluzione. Nel tentativo di raggiungere la massima velocità possibile, la resistenza aerodinamica doveva essere eliminata dove possibile, quindi era impensabile utilizzare prese del radiatore o del radiatore dell’olio. Si utilizzò quindi la soluzione dei radiatori tipo Curtiss costituiti da serpentine di sottili tubi di rame annegati in tutte le superfici utili lambite dall’aria.
La soluzione era già utilizzata dai racers prima americani e poi inglesi, però con esigenze decisamente meno spinte del nostro Macchi.
In particolare nel Supermarine S6.B inglese, (diretto concorrente dell’M.C.72 nella Coppa Schneider), era utilizzato lo stesso sistema ma le serpentine erano coperte dal rivestimento esterno della struttura ad esclusione dei radiatori dell’olio lungo la fusoliera. Le superfici alari erano costituite da due sottili strati di duralluminio con uno spazio molto piccolo tra di loro. Tra questi strati, circolava il liquido di raffreddamento del motore. I pannelli di rivestimento fungevano da radiatori di superficie. L’olio motore era raffreddato in modo simile utilizzando canali lungo la fusoliera e nei rivestimenti dell’impennaggio.
Piegatura tudi radianti Rivestimento radiante dell’ala
L’ing. Castoldi optò per una soluzione originale, lasciò le condutture radianti in ottone esterne alla struttura ma utilizzando tubazioni adattate all’esigenza di un basso spessore, riuscì così ad evitare che queste superfici aumentassero la resistenza globale del velivolo. Inoltre, soluzione inedita per l’epoca, fece in modo che l’impianto lavorasse sotto pressione, permettendo una più alta e gestibile efficienza alle alte temperature. Tali “pannellature” ricoprono quasi completamente le ali, porzioni della superficie dei galleggianti, delle loro gambe di forza e parte della superficie della fusoliera in coda utilizzate nelle condizioni di alta temperatura ambientale (MM 179).
LE ELICHE
Sono bipala metalliche a pale singole concorrenti sul mozzo. ( il Supermarine SB.6 aveva un’elica monolitica a passo fisso)
Il passo, regolabile a terra, prevede la loro massima efficienza a velocità prossime a quella prevista per la competizione.
Inoltre ciò rende possibile la regolazione del passo dell’elica posteriore per massimizzare la sua efficienza essendo questa immersa nel flusso di quella anteriore.
Da notare il passo estremamente “lungo” per avere la massima efficenza alle alte velocità
Il gruppo propulsivo è costituito da due eliche controrotanti, soluzione geniale e unica a quell’epoca.
Gruppo eliche M.C. 72 Elica del Supermarine S6 B
Si constatò che l’efficienza delle due eliche era decisamente superiore a un’unica elica singola, generando queste un flusso più omogeneo ed eliminando, quasi del tutto, l’effetto di rollio sulla deriva, il che aumentava decisamente la stabilità dell’intero velivolo.
Altro vantaggio aerodinamico è il fatto che l’idrocorsa viene investito da una corrente d’aria non turbolenta, come per i monoelica, bensì da una corrente pressoché lineare, il che evita anche che i gas di scarico vengano deviati verso l’abitacolo, causando problemi sia di respirazione sia di visibilità al pilota per annerimento del parabrezza.
Questa configurazione permette di scaricare l’eccezionale potenza del motore al massimo dei giri, pur potendo mantenere il diametro del disco in dimensioni tali da evitare che le estremità superassero la velocità periferica di Mach 0,95 che sarebbe risultata distruttiva per le eliche e per tutto il velivolo.
Oltre a ciò, le due eliche controrotanti comportano numerosi altri vantaggi.
Innanzi tutto, elimina l’indesiderata coppia di reazione, che con le potenze in gioco, renderebbero il decollo estremamente difficile e la manovrabilità in virata notevolmente asimmetrica sui comandi.
Cosa questa, che sul Supermarine inglese si era dovuta invece correggere differenziando la posizione e i pesi del combustibile nei galleggianti per equilibrare la diversa immersione in acqua di questi ultimi dovuta proprio alla coppia di reazione sviluppata dal motore.
Il ridotto diametro del disco, poi, permette di ridurre l’altezza dei galleggianti, che compatta la sagoma dell’aereo e ne aiuta il centraggio oltre migliorarne l’efficienza aerodinamica.
Non ultimo, il fatto che questo evita che durante il flottaggio in decollo, l’acqua venga aspirata dall’elica nel suo disco riducendone l’efficienza oltre che ridurre la visibilità del pilota, già estremamente compromessa dalla profilatura dell’abitacolo.
COCLUSIONI
Lo splendido M.C. 72, un aereo dalle linee filanti di un’eleganza mai vista prima (ne dopo, a mio parere, per un aereo a pistoni) costruito con soluzioni avvenieristiche e geniali anche prescindendo dal motore già di per sè un gioiello (per quell’epoca) è una macchina per correre, non gli si possono quindi chiedere performance diverse da quelle della velocità.
Il pilotaggio di un simile idrovolante non era un’impresa da poco e non permetteva errori, specialmente in decollo e ammaraggio. Le condizioni meteorologiche dovevano essere perfette, con una brezza leggera, una buona visibilità e la giusta quantità di increspature sull’acqua. Se lo specchio d’acqua fosse troppo calmo il pilota non poteva giudicare la sua altezza.
I piloti e gli ingegneri italiani, per la prima volta, sperimentarono (anche fisicamente) l’esperienza degli alti “G”, specialmente quando fu provata ed eseguita la, ancora oggi, famosa, virata Shneider (che inizialmente era chiamata “Desenzano”).
Questa tecnica, consentiva agli idrovolanti di doppiare i piloni del percorso di gara, senza perdere quota o ridurre la potenza del motore. Questa manovra, che richiedeva estrema abilità, poneva l’aereo con le ali a coltello.
In pratica la virata a piena potenza, era divisa in quattro fasi: la prima prevedeva l’abbassamento dell’ala interna avviando una traiettoria curva, seguita da un progressivo aumento dell’inclinazione (fino a 90°), che consentiva una riduzione al minimo del raggio di virata. Una volta superato l’apice della traiettoria di virata, a poco più di 32 piedi (10 m) sopra l’acqua, e con un’accelerazione orizzontale all’apice che portava il pilota a tirare tra 4-5 g, l’angolo di inclinazione qundi veniva ridotto in modo dolce e costante fino al livellamento. L’inizio della virata e l’angolo di inclinazione dovevano essere giudicati a occhio e ciò richiedeva un livello avanzato di addestramento. I piloti erano guidati da boe colorate posizionate sul lago prima e dopo l’apice della virata fino a quando non fossero riusciti a completare la manovra spontaneamente.
Il 10 aprile 1933, si stabilì un nuovo record mondiale di velocità per idrovolanti, con una velocità di 682 km/h.
A pilotare questo bolide era il maresciallo Francesco Agello.
Ma i progettisti puntavano a poter raggiungere i 700 km/h.
Tale impresa fu infatti compiuta il 23 ottobre 1934 quando Agello pilotò l’aereo per una velocità media di 709 km/h su tre passaggi. Questo record (tuttora imbattuto) rimane la velocità più alta mai raggiunta da un idrovolante con motore a pistoni.
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Dopo questo successo l’MC72 non volò mai più.
Purtroppo, questa macchina così sofisticata che aveva dimostrato tutta la sua potenzialità nel 1934 con la serie di primati che conquistò per l’Italia, chiese anche il suo tributo di vite umane, che restano nell’albo d’oro dell’aeronautica, a riprova del valore e della dedizione dei nostri uomini dell’Aria.
Già spiravano venti di guerra e dopo la stagione dei primati l’M.C. 72 fu abbandonato a se stesso, ma non solo, le esperienze tecnologiche e aerodinamiche acquisite non furono messe a frutto nei tragici eventi che di lì a poco avrebbero scosso la nostra Aviazione Militare sebbene l’ ing. Castoldi possa accreditare la firma della serie dei grandi caccia della nostra aeronautica militare.
SPECIFICHE
Macchi Castoldi M.C. 72
Costruttore : Aeronautica Macchi SpA
Progettista : Ing. Mario Castoldi
Esemplari : 5
Primo volo : 1931
Lunghezza 8,32 m
Apertura alare 9,48 m
Altezza 3,30 m
Profilo alare Biconvesso simmetrico
Superficie alare 15 m²
Peso a vuoto 2.500 kg
Peso max al decollo 3.025 kg
Motore 1 Fiat AS.6 24-cilindri a V in linea, raffreddato a liquido
Potenza 3.100 CV (1934)
Eliche 2 x bipala metallica – controrotanti , passo reg. a terra
Velocità Max 709 Km/h
(Record FAI Classe C2 per idrovolanti con motore a pistoni tuttora imbattuto)