L’ Ing. SERGIO STEFANUTTI (Udine 1906 – Roma 1992)
Sergio Stefanutti fu uno dei migliori ingegneri aeronautici italiani.
Nasce a Udine il 27 settembre 1906.
Fu l’ingegnere friulano progettista di alcune delle più interessanti realizzazioni aeronautiche italiane annoverandolo così nelle eccellenze della nostra città.
Si laureò in Ingegneria Meccanica Industriale presso l’Università di Padova nel 1929 e in Ingegneria Aeronautica a Roma nel 1931. Nello stesso anno entrò nella Regia Aeronautica come Ufficiale del Genio Aeronautico e fu assegnato al settore costruzioni del Ministero dell’Arma Aerea.
Dagli anni ’20 operò per la (Società Aeronautica Italiana) SAI Abrosini dove fu posto a capo del settore progettazione.
Pur inquadrato nella Regia Aeronautica, era stato autorizzato ad operare professionalmente all’esterno dell’Arma.
Da un’intuizione derivata dai suoi studi, per primo esplorò l’aerodinamica e progettò il primo aereo in configurazione “canard”, (alette stabilizzatrici a prua) ad essere pensato e realizzato.
La sua prima esperienza progettuale in questo campo fu il modello S.S.2 (Sergio Stefanutti 2), un aereo leggero con questa configurazione, dotato di un motore da 16 CV, costruito nello lo Stabilimento di Costruzioni Aeronautiche della Direzione Superiore Studi ed Esperienze di Guidonia.
Era stato concepito come dimostratore tecnologico più che un prototipo di velivolo operativo e volò per la prima volta nel 1935.
L’esperienza maturata e la conseguente conoscenza dell’aerodinamica acquisita, consentì a Stefanutti di ideare una nuova versione, questa volta da utilizzare per compiti operativi: intercettazione e superiorità aerea.
Il nuovo modello venne costruito dalla SAI Ambrosini tra il 1938 e il 1939 e fu denominato S.S.4
Questa configurazione, innovativa per quel tempo, assicurava notevoli vantaggi di efficienza nelle prestazioni e nella qualità di volo, (se pur limitate dalle tecnologie disponibili a quell’ epoca), tanto da equipaggiare ancora oggi alcuni velivoli del nostro secolo.
Progettisti, a livello mondiale, infatti, sono impegnati a sviluppare quella che negli anni’30 del ‘900 è stata l’avvenieristica idea dell’Ing. Stefanutti.
L’ S.S.4, doveva servire come intercettore, ma non entrò mai in produzione a causa di un’avaria meccanica (oltre che la formula troppo innovativa) che indusse la Regia Aeronautica a non consentirne l’ulteriore sviluppo.
Resta comunque una realizzazione all’avanguardia per quel tempo e antesignano dei moderni velivoli con questa configurazione aerodinamica che oggi possiamo vedere nei nostri cieli.
(Ndr) Solo successivamente a questo progetto, furono realizzati altri velivoli con la stessa configurazione come il Curtiss-Wright XP-55 Ascender e il giapponese Kyushu J7W Shinden che però anch’essi non raggiunsero l’ impiego pienamente operativo.
Nel 1939 progettò, su sua iniziativa personale, il SAI 7, ottimo monoplano da turismo, e due interessanti progetti di caccia leggero. Questi ultimi presero la denominazione di SAI Ambrosini 207 e 403.
Erano velivoli realizzati con struttura in legno, attentamente studiata da Stefanutti, di peso ridottissimo e di grande manovrabilità.
Dopo la fine della guerra, lasciato il servizio attivo nell’Aeronautica Militare, continuò a collaborare con Angelo Ambrosini, realizzando tra l’altro nel 1952, un monoplano a elica, derivato dal precedente SAI 7 e adeguatamente potenziato nel propulsore, proposto per uso addestrativo e da competizione, il Super S.7.
Esso fu largamente utilizzato nelle scuole della rinascente Aeronautica Militare dell’Italia del primo dopoguerra ed ebbe inoltre vari successi in ambito sportivo, classificandosi primo assoluto per la sua categoria durante la Daily Espress Air Race di Brighton nell’agosto del 1952 e conquistando il primato mondiale di velocità media sui 100 Km. con 358 Km/h e quello sui 1000 Km. con 347 Km/h.
Questi aerei sviluppati da Stefanutti furono tra i primi ad utilizzare ali con profilo laminare. L’utilizzo di questo tipo di profilo alare consentì di garantire migliori prestazioni di volo rispetto ai profili convenzionali utilizzati generalmente a quell’ epoca.
Nel dopoguerra l’era dei velivoli a getto era in pieno sviluppo e si dedicò, quindi, al volo propulso da motori a reazione (jet), esplorando l’aerodinamica delle ali a freccia e delle alte velocità, seppure con i pochi mezzi a disposizione.
Nel 1949 cominciò a studiare un’ala con una freccia di 45°, di elevate caratteristiche aerodinamiche ed in grado poi di prestazioni eccellenti.
In mancanza di valide gallerie del vento, che subito dopo la guerra in Italia non esistevano più, un’ala di tali caratteristiche venne istallata, a scopo sperimentale e di studio su un biposto Ambrosini SAI 7, con il motore Hirth HM 508D da 240 CV, che verrà poi ribattezzato appunto” FRECCIA”.
Rendendosi necessaria la tecnologia di costruzione metallica avanzata, l’ulteriore sviluppo di questi velivoli fu affidato alla società AERFER di Pomigliano d’Arco (NA).
Quando si resero disponibili motori a getto di sufficiente potenza fu realizzato il Freccia con questa nuova motoristica (Turbomeca Marboré II-380 Kg.di spinta) e denominato SAGITTARIO 1, ad uso sperimentale.
Quando fu possibile disporre di reattori più performanti (R.R. Derwent 9-1800 kg di spinta statica) che quindi permettevano lo studio delle alte velocità, progettò il primo aviogetto da caccia italiano, il Sagittario 2.
Esso fu il primo aereo di costruzione interamente italiana (escluso il propulsore) a superare la velocità del suono il 4 dicembre 1956.
Non andò oltre, però, lo stato di prototipo, (di cui se ne produssero tre esemplari), poichè, affacciandosi dapprima la possibilità di acquisire velivoli dalle potenze vincitrici già operativi, e tempo dopo, la nascita del G 91 da parte della Fiat, l’Aeronautica Militare non volle adottarlo, sospendendo i fondi necessari allo sviluppo e preferendogli il Fiat G91.
Oltre al Sagittario 2, studiò, progettò e realizzò altri aerei a reazione derivati come aggiornamenti di quest’ ultimo, ma potenziati nella propulsione per incrementare le prestazioni nelle fasi di salita e combattimento aereo.
Adottò dapprima una soluzione più convenzionale installando due reattori uno nella fusoliera e un secondo, ausiliario, alloggiato in coda.
Tale variante denominata “Ariete” era dotata di una seconda presa d’aria dorsale retrattile che veniva aperta all’ accensione del secondo motore (Rolls-Royce “Soar”).
Successivamente, poiché le prestazioni richieste in termini soprattutto di velocità e salita venivano progressivamente aumentando, progettò il “Leone”, derivato sempre dal Sagittario2 come impostazione generale, ma completamente ridisegnato per accogliere in coda un motore a razzo a combustibile liquido e ad utilizzo gestibile (De Havilland “Spectre), tendenza all’epoca diffusa in Europa anche su altri velivoli sperimentali.
Questa soluzione permetteva di incrementare temporaneamente la spinta e la velocità di intercettazione anticipando quello che nei motori moderni viene chiamato “postbruciatore”.
Evidentemente l’aumento delle velocità raggiungibili, costrinsero il progettista allo studio e applicazione di prese d’aria supersoniche ad onda d’urto obliqua e ali a freccia accentuata oltre che a profili alari transonici. Oltre a ciò, l’avvento dell’uso generalizzato dei radar d’armamento e dell’avionica che doveva essere implementata nel velivolo, introduceva ulteriori fattori di aggiornamento al progetto.
Lo studio del “Leone” però, per quanto ormai completo e definitivo, rimase comunque al livello di mock-up per la cancellazione del finanziamento del progetto, dato l’avvento dell’ F 104G nella dotazione dell’ Aeronautica Militare.
L’Aerfer XS.1, fu l’ultimo progetto di Stefanutti per l’Aerfer, nel 1959.
Si trattava di un’ulteriore evoluzione della formula Leone (turboreattori più motori a razzo) progettato come un intercettore bisonico con decollo a lunghezza zero (ZLTOS o ZLL) come sembrava richiesto dalle sigenze della guerra fredda in corso in quegli anni, per rispondere alla potenziale minaccia costituita da bombardieri ad alta quota a Mach 2.
Il progetto non venne sviluppato: sia perché venne a mancare la disponibilità finanziaria (i precedenti aerei Stefanutti erano stati finanziati con fondi americani) sia perché già nel 1959 l’Aeronautica Militare aveva scelto gli F-104G per un ruolo caccia intercettore pilotato, utilizzando i missili Nike per l’intercettazione guidata.
Nel 1959 riprese il servizio nel Genio con il grado di Colonnello e fu assegnato al Centro di Consultazione per le Ricerche e gli Studi.
In quegli anni ideò un convertiplano da trasporto a quattro motori, (VTOL simile all’ attuale Hosprey) studiato per rispondere a delle specifiche NATO, oltre ad altri progetti che non superarono però questa fase.
L’ ing. Sergio Stefanutti concluse la sua affascinante e brillante avventura terrena a Roma il 1° marzo 1992 lasciando un’eredità di esempio per la genialità e determinazione di una vita dedicata all’aviazione, annoverandolo così fra i figli eccellenti della nostra città la cui vocazione aeronautica è nota e indiscutibile.
Aerei italiani dimenticati
Storia e tecnica
Aerfer Sagittario 2
Aerei italiani dimenticati
Storia e tecnica
Aerfer Ariete e Leone